sabato 15 gennaio 2011

CAMBIARE




Nell’analisi dei fattori del cambiamento, legati alla globalizzazione, alla tecnoscienza, alla civiltà delle reti, al meticciato di culture qui non possiamo entrare. Personalmente ne ho scritto e parlato altrove e più volte.
Qui mi interessa dire che, se per affrontare una nuova fase della vicenda umana bisogna avere come bussola la memoria, allora - se la intendiamo bene - la Chiesa, nel vissuto concreto delle sue parrocchie e delle sue comunità, può essere un attore decisivo del cambiamento in atto nel Paese. A condizione di vivere la memoria nella sua verità, che chiamerei eucaristica. Non cioè come ricordo fatto di ripetitività ma come presenza che continua a trapiantare l’essenza dell’antico sul nuovo. Come l’Eucaristia propone nell’oggi alla libertà sempre situata e indominabile dell’uomo l’antico, cioè l’unico, singolare, irripetibile evento pasquale e in questo modo ne permette all’uomo la memoria, così la “forma eucaristica” dell’esistenza cristiana (Giovanni Paolo II) investe il nuovo nella Traditio (non nelle tradizioni) testimoniando nel proprio tempo la forza liberante ed innovativa dell’evento di Cristo. Documenta il valore antropologico del tempo, come ci ha insegnato Agostino, in cui il presente apre sempre al futuro in forza della pro-vocazione incessante del passato.
Anche in questa nuova fase “culturale” in cui il Paese sta entrando si conferma pertanto che siamo cristiani perché sappiamo ed abbiamo sperimentato che vivere in Cristo (San Paolo) è la pienezza dell’umano. Non c’è dualismo o giustapposizione tra fede e vita, ma profonda unità. Annunciare questo, testimoniandolo, ai nostri fratelli uomini è la ragione e l’esaltante compito per cui spendere la nostra esistenza. Gli “animatori della cultura e della comunicazione” (porta-parola) sono chiamati più di altri a radicare il loro compito specifico su questo nocciolo duro della loro vocazione/missione.
Del resto i nostri fratelli uomini mostrano oggi un’inedita sensibilità a due parole-chiave della proposta di Gesù Cristo all’uomo: felicità - «Se vuoi essere perfetto (felice, compiuto) seguimi» (cfr Mt 19, 21) - e libertà - «Sarete liberi davvero» (Gv 8, 36) -. La voglia di vita e il desiderio di infinito, di amare e di essere definitivamente amati al di là della morte, sono a tema, oggi più che mai, nella prassi più o meno consapevole degli uomini.
In qualche modo essi stanno oggi davanti alla Chiesa con la stessa “pretesa” con cui i primi stavano davanti a Cristo Signore. «“Chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete...”. Signore, gli disse la donna, dammi di quest’acqua”» (Gv 4, 14-15). «“Il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dá la vita al mondo.  Allora gli dissero: Signore, dacci sempre questo pane”» (Gv 6, 33-34).
Affrontare i bisogni, le aspirazioni, le angosce, i lutti, le gioie e le speranze, in una parola i problemi comuni (così dice il titolo di questa conversazione) con i sentimenti (2Cor 13, 11) ed il pensiero di Cristo (1Cor 2, 16) - per usare due espressioni di San Paolo - è l’affascinante compito che ci sta davanti. L’urgenza di un giudizio che parta dalla vita di comunione con Cristo ed i fratelli è intrinseca all’atto di fede e perciò all’esperienza cristiana per natura sempre personale e comunitaria. 

Angelo SCOLA, Patriarca di Venezia, tratto da un suo documento  del 26 aprile 2008.

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