domenica 30 gennaio 2011

BEATI


Il Vangelo della Beatitudini, va al cuore della nostra fede, il Signore Gesù ci chiede di confrontare la nostra vita con la proposta che Lui fà. Una proposta certamente singolare, perchè ha delle "sfumature" difficili da comprendere: "Beati gli afflitti, beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, beati i perseguitati a causa della giustizia", come si può ottenere questa condizione, la beatitudine nei casi citati? E come si fa a fare esperienza della beatitudine che viene dall'essere capaci di usare misericordia e amore verso tutti? Credo che solo la fede in Lui ci può mettere nella condizione di capire questo. Del resto, anche gli Apostoli, lo hanno capito bene dopo l'esperienza della resurrezione e soprattutto dopo quella della Pentecoste. Dobbiamo allora ricorrere anche noi alla fede e alla potenza dello Spirito Santo che abbiamo ricevuto per entrare in comunione con il Maestro. Del resto Gesù di fronte alle folle si comporta da "vero" Maestro: il suo discorso non è impositivo ma propositivo, segnando così uno stacco netto tra ciò che era la Legge di Mosè e la proposta da Lui portata; le sue affermazioni sono inerenti a fatti di vita quotidiana, non semplici astrazioni; Lui le mette in pratica in prima persona, rendendosi così autorevole in ciò che dice. Ma esiste una chiave per cominciare a vivere seriamente secondo quanto Gesù qui afferma? Io credo di individuarla nella beatitudine dei poveri in spirito e in quella dei puri di cuore. Per il fatto che occorre mantenere la giusta mansuetudine verso Dio, considerandolo Signore anche quando le cose non vanno come noi vorremmo; e poi occorre mantenere il cuore pulito da tutti quei sentimenti o situazioni che si frappongono fra noi e Dio e non ci lasciano in comunione con Lui. Credo che in questo modo il cammino sulla via dei beati possa divenire una realtà anche nella nostra vita nell'attesa di poter godere definitivamente questa dimensione nella vita eterna. E' il Padre celeste, che ama follemente i suoi figli, che ci chiede di intraprendere questo cammino, non solo per la sua gloria ma soprattutto per la nostra beatitudine. O ci fidiamo, o lasciamo perdere. 
                                                                                                                       don Vittorio


domenica 16 gennaio 2011

IN VISTA DELLA "SETTIMANA DI PREGHIERA PER L'UNITA' DEI CRISTIANI"

 Nella foto: Assisi 27 ottobre 1986, Giovanni Paolo II prega insieme ai rappresentanti delle grandi religioni

Questa "settimana" che la Chiesa celebra dal 18 al 25 Gennaio è da vivere con senso di responsabilità nell'ottica che il dono dell'unità nella Chiesa non è opera degli uomini, ma dono di Dio. Questo ci deve impegnare a chiederlo nella preghiera affinchè l'unità sia visibile in questa Chiesa come Cristo Gesù l'ha voluta, "perchè tutti siano una cosa sola. Come Tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perchè il mondo creda che tu mi hai mandato" (Gv 17,21).
Quante minacce, tensioni e contrapposizioni nella storia della Chiesa! I grandi concili dell'antichità, in tante occasioni, hanno suscitato nuove divisioni invece di affermare e confermare l'unità. Le separazioni purtroppo continuano anche nel nostro tempo.
Pensiamo alla divisione dell'oriente e dell'occidente (praticamente tutti i cristiani mediorientali appartengono alla Chiesa ortodossa). La Riforma avviata da Martin Lutero. Le Chiese luterane nazionali dei paesi scandinavi. Giovanni Calvino a Ginevra e Zwingli a Zurigo. La separazione della Chiesa britannica da Roma dopo che il Papa negò a Enrico VIII il divorzio. Non possiamo negare, tuttavia, che insieme a tante fratture nella storia della cristianità, ci sono stati continui tentativi di ricomporre l'unità. Ma sono rimasti tentativi e nello scorso secolo XIX si è aggravata la situazione con la nascita di chiese e sette indipendenti: i testimoni di Geova, i mormoni, gli avventisti ecc.. Sono sorte anche nuove Chiese autocefale e autonome nei Balcani. Anche l'ortodossia si è divisa e le chiese luterane hanno visto nascere le Chiese provinciali unite.
Non è difficile capire come il dialogo sia divenuto assai più complicato, ma il movimento ecumenico, da principio iniziativa di protestanti, organizzò nel 1910 una conferenza mondiale a Edimburgo, senza che fossero invitati nè gli ortodossi nè i cattolici. Qui ha inizio il vero movimento ecumenico che continuerà con conferenze ed incontri, non sempre condivisi dalla chiesa cattolica nè da quella ortodossa. Con il Concilio Vaticano II, la nostra Chiesa entra a pieno titolo a far parte del movimento ecumenico. E noi siamo chiamati a testimoniare con l'accoglienza e il rispetto per le diversità, che crediamo in "un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti" (Ef 4,4ss.)
don Angelo

sabato 15 gennaio 2011

CAMBIARE




Nell’analisi dei fattori del cambiamento, legati alla globalizzazione, alla tecnoscienza, alla civiltà delle reti, al meticciato di culture qui non possiamo entrare. Personalmente ne ho scritto e parlato altrove e più volte.
Qui mi interessa dire che, se per affrontare una nuova fase della vicenda umana bisogna avere come bussola la memoria, allora - se la intendiamo bene - la Chiesa, nel vissuto concreto delle sue parrocchie e delle sue comunità, può essere un attore decisivo del cambiamento in atto nel Paese. A condizione di vivere la memoria nella sua verità, che chiamerei eucaristica. Non cioè come ricordo fatto di ripetitività ma come presenza che continua a trapiantare l’essenza dell’antico sul nuovo. Come l’Eucaristia propone nell’oggi alla libertà sempre situata e indominabile dell’uomo l’antico, cioè l’unico, singolare, irripetibile evento pasquale e in questo modo ne permette all’uomo la memoria, così la “forma eucaristica” dell’esistenza cristiana (Giovanni Paolo II) investe il nuovo nella Traditio (non nelle tradizioni) testimoniando nel proprio tempo la forza liberante ed innovativa dell’evento di Cristo. Documenta il valore antropologico del tempo, come ci ha insegnato Agostino, in cui il presente apre sempre al futuro in forza della pro-vocazione incessante del passato.
Anche in questa nuova fase “culturale” in cui il Paese sta entrando si conferma pertanto che siamo cristiani perché sappiamo ed abbiamo sperimentato che vivere in Cristo (San Paolo) è la pienezza dell’umano. Non c’è dualismo o giustapposizione tra fede e vita, ma profonda unità. Annunciare questo, testimoniandolo, ai nostri fratelli uomini è la ragione e l’esaltante compito per cui spendere la nostra esistenza. Gli “animatori della cultura e della comunicazione” (porta-parola) sono chiamati più di altri a radicare il loro compito specifico su questo nocciolo duro della loro vocazione/missione.
Del resto i nostri fratelli uomini mostrano oggi un’inedita sensibilità a due parole-chiave della proposta di Gesù Cristo all’uomo: felicità - «Se vuoi essere perfetto (felice, compiuto) seguimi» (cfr Mt 19, 21) - e libertà - «Sarete liberi davvero» (Gv 8, 36) -. La voglia di vita e il desiderio di infinito, di amare e di essere definitivamente amati al di là della morte, sono a tema, oggi più che mai, nella prassi più o meno consapevole degli uomini.
In qualche modo essi stanno oggi davanti alla Chiesa con la stessa “pretesa” con cui i primi stavano davanti a Cristo Signore. «“Chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete...”. Signore, gli disse la donna, dammi di quest’acqua”» (Gv 4, 14-15). «“Il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dá la vita al mondo.  Allora gli dissero: Signore, dacci sempre questo pane”» (Gv 6, 33-34).
Affrontare i bisogni, le aspirazioni, le angosce, i lutti, le gioie e le speranze, in una parola i problemi comuni (così dice il titolo di questa conversazione) con i sentimenti (2Cor 13, 11) ed il pensiero di Cristo (1Cor 2, 16) - per usare due espressioni di San Paolo - è l’affascinante compito che ci sta davanti. L’urgenza di un giudizio che parta dalla vita di comunione con Cristo ed i fratelli è intrinseca all’atto di fede e perciò all’esperienza cristiana per natura sempre personale e comunitaria. 

Angelo SCOLA, Patriarca di Venezia, tratto da un suo documento  del 26 aprile 2008.

domenica 9 gennaio 2011

Oltre il pessimismo, con passione
Alla radice della moralità
È pressoché comune sentire che il momento storico che vive il nostro Paese, nel contesto della vicenda internazionale, sia difficile e preoccupante. Un noto editorialista, qualche giorno fa, tracciando il bilancio dell’anno appena concluso, scriveva: «Non vanno bene le cose per l’Italia», ed elencava criticità, ritardi e difetti, invitando a dire la verità al Paese. Non gli si può dare torto. Concordano sostanzialmente gli analisti più acuti, lo conferma la gente comune, scontenta e delusa, che con fatica affronta tanti problemi ogni giorno. Sono in sofferenza ambiti essenziali del vivere sociale, primo fra tutti il lavoro, quello giovanile in particolare. È un punto critico veramente serio. Il messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica deve fare riflettere tutti.  Le famiglie non sono tranquille e cresce il malessere sociale. Si tocca con mano. Ma attenti al pessimismo! Lo sviluppo dell’Italia, dal dopoguerra ad oggi, frutto della laboriosità e della parsimonia del nostro popolo è fuori discussione ed è un dato culturale, ma proprio per questo le nuove generazioni sono disorientate e inquiete dinanzi alla crisi. Naturalmente la crisi è globale, nessuno lo nega, ma la giustizia sociale sbandierata da tutti, senza fatti conseguenti diventa una parola vuota, che fa crescere la rabbia e la protesta.  Perché l’analisi della situazione non resti esercitazione retorica, capace soltanto di accrescere lo sconforto e la sterile rassegnazione, a me pare che si dovrebbe avere il coraggio di andare al fondo del problema, che non è politico ma morale. Se la passione per il bene comune si affievolisce e la coscienza del dovere è sopraffatta dalla logica del proprio interesse, se dilaga la corruzione dalle forme più vistose a quelle più nascoste, se si evade tranquillamente il fisco (prassi ritenuta ormai una forma di risarcimento), se cresce la delinquenza organizzata, se c’è chi pur avendo tutto non si contenta mai, sottraendo spazi di lavoro e di guadagno a chi non ne ha alcuno, se la scaltrezza e la furbizia sembrano essere virtù necessarie per vivere nella società di oggi, se in definitiva cresce la mentalità individualista, allora si possono anche escogitare formule politiche innovative e meccanismi raffinati di coercibilità, forse si limiteranno i danni, ma il benessere della società sarà un miraggio. «Il vero problema in questo momento della storia – ha scritto il Papa – è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi si manifestano sempre di più».  L’immoralità affonda le sue radici nel cuore dell’uomo che si fa misura di se stesso e del suo agire («Dal cuore degli uomini escono impurità, furti, omicidi, adulteri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza»: Mc. 7, 21–22). Se il cuore dell’uomo resta di “pietra” e non diventa di “carne”, per dirla con il profeta Ezechiele, la società non migliorerà mai. Al contrario, la moralità pubblica e privata, che genera comportamenti e stili di vita virtuosi ha bisogno di alimentarsi di Dio e della sua Parola, da cui attingere luce, energia e vita. Senza Cristo, fondamento di valori imprescindibili, non c’è salvezza per l’uomo, tutto intero, persona singola e corpo sociale. Questa credo che sia la verità ultima che vada detta anche al Paese. E, per la sua parte, la responsabilità della Chiesa è grande. 
Agostino Vallini
da Avvenire del 09 Gennaio 2011

sabato 8 gennaio 2011

BUONA NOTIZIA

Ecco, popolo di Dio, la buona notizia che vengo a portarti, fresca di giornata, ma anche antica quanto l'eternità: Gesù Cristo è il Signore, il solo Signore, il solo Santo, il solo Altissimo, il solo Re della gloria. Non ce n'è altri. Egli è la "A" e la "Z", l'inizio e la fine, il principio di intelligibilità di tutto il creato, l'asse di convergenza di ogni realtà. In Lui precipita tutta la storia e le onde dell'universo si infrangono su di Lui. Se in questa notizia non trovate motivi per esultare più che tanto, se non vi abbandonate alla gratitudine, se non sentite l'insopprimibile bisogno di alzarvi subito per andare a trasmettere agli altri questo annuncio, è segno che noi credenti siamo diventati vecchi, e che lo scetticismo, il sorriso gonfio di cautele, il calcolo prudenziale di chi la sa lunga, la freddezza senile hanno preso il sopravvento sull'entusiasmo e, forse, anche sulla speranza. E non ci consideriamo più come portalettere che recapitano un lieto messaggio atteso lungamente, ma come fattorini che consegnano una cambiale o la bolletta della luce.
 don Tonino BELLO
"Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore" (Lc 2, 10-11).

Quanto ci entusiasma il Vangelo? Quanto ci fa sognare? Quanto desiderio abbiamo di condividerlo con altri? Quanto crediamo nella possibilità di costruire il Regno qui, nel mondo, in mezzo al mondo? 
Se questi sentimenti ci appartengono, almeno in parte, dobbiamo sapere che l'isolamento non sarà mai la via giusta. E' la Comunità che fa la differenza, è la comunità la via da percorrere. L'isolamento, la disunione, crea solo dispendio di energie, prima o dopo la disgregazione uccide la fede di ognuno, poi anche la speranza e di conseguenza la carità. Allora, diventiamo fattorini che, da soli, nella migliore delle ipotesi, vanno in giro a distribuire cambiali.
don Vittorio

giovedì 6 gennaio 2011

LAICI

E a voi laici, che dire? Con chi dovete realizzare questa comunione che scaturisce nel tener fissi gli occhi su Gesù? Anzitutto con il presbiterio. A questo punto capirete bene che il discorso si porta inesorabilmente sul tema della corresponsabilità ecclesiale. Dobbiamo pur dirlo: le nostre Chiese sono ancora troppo clericali, e non sempre per colpa del clero. Un tempo, magari, i preti potevano guardare ai laici troppo zelanti con l'atteggiamento sospettoso di chi dice: prendetevi i fatti vostri e lasciate a noi la gestione della Chiesa. Oggi, invece, vi guardano con l'aria un pò seccata che sembra dire: non è giusto che la carretta la lasciate tirare solo a noi. Un tempo, forse, per lusingarvi, parlavano di corresponsabilità ecclesiale in termini di diritto; oggi ve ne parlano in termini di dovere. Nonostante tutto, un laicato adulto, maturo, che abbia una profonda coscienza ecclesiale... questo laicato stenta a decollare.
                                                                                                                     
    don Tonino BELLO

        Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti (1Cor 12, 4-6).

mercoledì 5 gennaio 2011

Solennità dell'Epifania

Liturgia della Parola: Isaia (60, 1-6); Lettera di S.Paolo agli Efesini (3,2-3a.5-6); Vangelo secondo Matteo (2, 1-12).
La Liturgia della Parola di oggi ci offre un'ulteriore "sprazzo" di luce. Il profeta Isaia "canta" questa luce che viene, secondo le sue intuizioni, da Dio. Isaia crede in un Dio che dà la possibilità di vedere oltre il presente, oltre le apparenze. Il popolo di Israele, che ha il "vizio" di perdersi, di vagare nel buio ha bisogno di questa luce per rimettersi in carreggiata. Si sente il bisogno di tornare in patria dall'esilio, fatto estremamente normale, ma è molto bello come i profeti associno spesso questo fatto ad un bisogno più profondo dal quale neanche si può prescindere. Il ritorno in sè. Cioè quel viaggio che ognuno di noi deve fare, ogni tanto, verso il profondo del cuore per capire. Capire chi siamo, perchè siamo e soprattutto, cosa saremo. Ecco il grande vantaggio di avere chi rischiara le profondità del nostro cuore e ci consente di capire molto, non certamente tutto, ma ciò che ci può bastare per riprendere il cammino con un cuore "rinato" ad una speranza e ad una fede nuove. Questa luce per noi è colui che è nato: Cristo Signore. Questa luce si diffonde nel mondo attraverso il Vangelo, attraverso i Sacramenti, e Dio voglia, anche attraverso la nostra vita. Il profeta invita il popolo di Israele ad essere luce per gli altri popoli. La Chiesa invita noi, oggi ad essere, come popolo di battezzati, coloro che nel mondo portano e diffondono Cristo nostra luce attraverso il Suo Vangelo. Di tutto ciò ne è cosciente anche l'apostolo Paolo, anche lui grande viaggiatore prima che verso il mondo verso se stesso, anche lui "colpito" da una luce accecante, che gli ha però aperto gli occhi del cuore divenendo così l'Apostolo delle genti. Paolo capisce, come ci rivela nella seconda lettura, che è stato reso partecipe di un mistero di vita, non solo per sè stesso ma per dire anche ai "Gentili" la "Buona Notizia": anche per voi è la luce, anche per voi è la salvezza, anche per voi è la gloria. Io ho il dovere di comunicarvelo, e voi avete il diritto di venirne a conoscenza. Il Signore ci renda a ciascuno di noi uno spirito da "Magi", da cercatori della luce cioè. Se non l'abbiamo ancora incontrata ci metta sulla strada i profeti di oggi, se già l'abbiamo trovata allora i profeti di oggi siamo noi, ci aiuti a svolgere la nostra missione, secondo la sua volontà.
don Vittorio