domenica 27 febbraio 2011

Il razzismo (2)


E' significativo il dialogo del titolo "Le Leggi" di Platone. Lo straniero che giunge da Atene a Creta, isola dalle Leggi antichissime, intoccabili, quasi di origine divina, e quindi con valore assoluto, crea il dubbio, il disorientamento quando domanda ai cittadini chi sia l'autore di queste Leggi. Gli rispondono che è stato un dio ospite di Creta a dettare quelle Leggi, ma lo straniero continua a seminare il dubbio. Da quel momento lo straniero è guardato con diffidenza. Ha portato scompiglio in una cultura dominata dall'ordine, dalle Leggi. Lo straniero è un sovvertitore.
In quache modo alla base di ogni forma di razzismo  c'è proprio la mancanza di sicurezza che lo straniero porta all'interno delle nostre culture e civiltà.
Tutti sapevamo dell'esistenza di culture e civiltà diverse, ma ora non si tratta più di conoscenza bensì di convivenza, e questo genera paura, rifiuto, odio, desiderio profondo di eliminazione.
Parlare di pluralismo come mezzo di arricchimento culturale a livello teorico è certamente facile e può anche fare schic, ma   realizzare un pluralismo culturale, religioso, etico, sociale, economico, in cui ciascuna cultura, pur mantenendo la propria identità, si confronta con le altre è ancora puramente utopico e genera quel fenomeno che chiamiamo razzismo.
Qual'è la situazione emigratoria oggi nel mondo che provoca razzismo?
 E' veramente difficile, direi impossibile, fare anche brevemente un'analisi degli esodi nel mondo in questi ultimi decenni. La vastità del problema non lascia libero nessun continente. E oggi il problema lo abbiamo più vicino. Le migliaia di profughi che cercano rifugio sono in arrivo. Non sarà difficile organizzare la guerra contro lo straniero.
Ecco il razzismo che nasce dalla paura del diverso e si manifesta con il conseguente rifiuto. Il diverso, se non diventa uguale, se non entra nella "norma" , nella nostra, nella mia "norma", deve essere espulso. Gli zingari sono l'esempio più evidente di questo razzismo che si sviluppa in questa nostra società che detiene il benessere e la preminenza culturale.
Posso concludere affermando, secondo il mio pensiero, che il razzismo è frutto di una filosofia sociologica che tende ad esasperare alcune forme culturali e sociali fino a ritenerle le migliori, le uniche possibili per un progresso umano e deve necessariamente eliminare ogni altra forma.
I più poveri subiscono le conseguenze del razzismo perchè non sono in grado di difendersi. D. Angelo (continua)

sabato 26 febbraio 2011

Il razzismo (1)




In questo nostro ambiente e con una presenza, direi massiva, di fratelli provenienti di tanti  paesi, quindi razze e culture diverse, con facilità si manifestano situazioni di razzismo che dovrebbero farci riflettere. Propongo degli spunti per meditare.

Sotto il termine "razzismo" si racchiude una vasta gamma di atteggiamenti umani, che è difficile definire in sintesi ed esauistivamente.

Tentando una definizione potremmo dire che Razzismo è avversità, odio, desiderio di distruggere chi per cultura, per razza, per posizione sociale si dimostra diverso. Questo atteggiamento è dettato da un senso di paura incoscia che il diverso possa turbare, sconvolgere o in qualche modo, sovvertire il proprio modo di vivere, le proprie certezze, qualche volta anche il proprio Credo religioso.

Analiziamo il fenomeno.

Quanto più le popolazioni sono in movimento e si verificano spostamenti, anche massicci, di persone, tanto più vivi sembrano farsi i contrasti, più dure diventano le incomprenssioni, più mortali le indifferenze, le discriminazioni, gli odi a sfondo etnico e razziale.

Cresce in maniera impressionante e inquitante il numero delle persone che desiderano essere non disturbate. Di fronte a questo dilagare di atteggiamenti sempre più individualistici, sarebbe assurdo pensare di reagire con moralismi; si tratta invece di capire. Alla base di tutto il fenomeno c'è infatti la sovrappopolazione.

In un mondo già sovrappopolato e nel quale le ricchezze sono mal distribuite si vive male e prende corpo la paura che il pane non sia sufficiente per tutti. Si diffonde l'idea della scarsità, che sembra giustificare gli egoismi più sordidi. La grettezza viene scambiata per buon senso e scattano meccanismi di difesa che diventano offensivi e si manifestano in aggressività gratuita e ingiustificata sia nei singoli che nei gruppi e nelle classe sociali.

La tradizione culturale euro-occidentale non è l'unica esistente, ma è solo una delle tradizioni esistenti nel mondo. Per troppo tempo però essa è stata spacciata per l'unica forma di pensiero e l'unica forma di civiltà del mondo.

Il primo passo da fare per giungere ad una trattativa per una convivenza non conflittuale tra culture, è proprio questa presa di conscienza. E' necessario accettare che la propria cultura non è l'unica, che ne esistono altre sul pianeta terra. D. Angelo  (continuerà)

martedì 8 febbraio 2011

La Chiesa dei poveri (II)


Cercavo, nella prima parte di questo scritto, di dare una risposta alla domanda: “Cosa intendiamo per Chiesa dei poveri?” e ora riprendo, per aggiungere a quanto già detto, che si tratta di una Chiesa che viva in comunione con i poveri, che faccia proprie le sofferenze, le speranze e le angosce degli emarginati e di tutti coloro che non hanno né voce né voto nelle cose del mondo; una Chiesa che senta una ferita inflitta in essa ogni volta che si compie un attentato contro la dignità umana (cfr Mt 25,40: “….. ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli …”)
Difficilmente la nostra Chiesa sarà la Chiesa dei poveri se non è povera lei stessa. Soltanto una Chiesa che riesce a superare il fascino dei denari potrà dialogare con i poveri. Una Chiesa che sa ascoltare la Parola-Consiglio del Maestro riuscirà ad essere vicina ai poveri (cfr Mc 10,21: “… và, vendi quello che hai e dallo ai poveri …”)
La Chiesa sarà dei poveri quando culturalmente sarà povera; quando non si sentirà condizionata da schemi ideologici, quando si lascerà guidare dal Vangelo. Il nostro parlare rimbalza sui poveri, è strano e difficile, non coincide né con il loro stile né con i loro interessi.
Intendiamo una Chiesa dei poveri quando sarà povera politicamente, cioè libera di fronte ai poteri di questo mondo e liberatrice da tutto quello che attenta alla libertà e alla dignità dell’uomo. Dobbiamo sentire disagio davanti all’uomo maltrattato, manipolato, annientato, all’uomo frustrato. La Chiesa deve votare sempre a suo favore. Purtroppo, anche se sappiamo che deve essere così, abbiamo privilegiato i potenti e abbiamo appoggiato ideologie politiche che mettevano le istituzioni (e anche il capitale) al di sopra dell’uomo.
Sarà, la nostra Chiesa, la Chiesa dei poveri, quando si convertirà in segno di speranza per i diseredati della terra; quando sperimenterà il dolore e le angosce di coloro che lottano non solo con le parole ma anche con la propria vita.
Quando sarà capace di dare una testimonianza di libertà, sarà la Chiesa dei poveri. Liberatrice di ogni tipo di oppressione e di tirannia. Non deve permettere che i potenti manipolino il Vangelo. Il Vangelo, letto in chiave di povertà può avere solo una interpretazione: liberatrice e portatrice di un mondo nuovo, nel quale nessuno sia schiavo di nessuno.
Intendiamo, infine, una Chiesa dei poveri quando sia decisamente a favore della pace. Le guerre interessano solo ai potenti; i poveri le subiscono. Vogliamo una pace fondata sul rispetto verso tutti i popoli. I poveri del terzo mondo ci chiedono pane e noi diamo loro armi, che ci arricchiscono. La voce della Chiesa non deve tremare quando condanna la distruzione e la barbarie da parte dei popoli civilizzati. Sappiamo molto bene che il mondo non si salverà con le armi né con la paura, ma con la pace e il dialogo tra i popoli e le nazioni. Vogliamo una Chiesa solidale, una Chiesa che arrivi a tutti i popoli della terra senza distinzione di razza, lingua o religione.
                                                                           don Angelo

giovedì 3 febbraio 2011

LA CHIESA DEI POVERI (1)


Più che mai le nostre conversazioni girano attorno alla crisi economica che stiamo vivendo. Diventa quasi spontaneo che, nel cercare di fare un’analisi  della situazione, si concluda facendo degli esempi di povertà che conosciamo e di tanti altri, che con sorpresa scopriamo stanno vivendo momenti di grave disagio. Certamente vengono anche elencati i “furbi” o coloro che della pseudo-povertà hanno fatto una professione.

Ma fare ora una riflessione su quest’argomento,   ci deve portare a domandarci, come comunità cristiana:   i poveri sono evangelizzati? 

Senza fare uno sforzo di sincerità e di umiltà non potremo giungere a conclusione. Credo di poter dire, con sofferenza, che la Chiesa è in debito con i poveri; che non sempre è stata accanto ad essi; che non sempre ha solidarizzato con loro; che alle volte ha lottato dal lato opposto.

Bisogna riconoscere la nostra mancanza di fedeltà alla causa dei poveri. Così, come per altre ragioni fece Giovanni Paolo II chiedendo perdono, dobbiamo anche noi accettare l’incoerenza del nostro parlare, così diverso del nostro fare, iniziando dalle più alte gerarchie e finendo con il più umile dei cristiani.

Cosa intendiamo per Chiesa dei poveri?

Mi sembra si possa rispondere dicendo che si tratta di una Chiesa senza differenze. Nessuna differenza tra i fedeli nè per ragioni di potere economico, politico o sociale, e se ci dovesse esserci alcuna differenza… sia sempre a favore dei più poveri, a favore di coloro che sono esclusi dalla società.

Una Chiesa di fratelli nella quale tutti siamo al servizio di tutti. Una Chiesa dove non si riconosca un’altra autorità che quella del servizio austero, sacrificato e costante; dove l’unica dignità sia quella della filiazione divina (tutti partecipiamo ad essa gratuitamente per opera di Gesù Cristo Salvatore). 

E' triste vedere come ci siamo appropriati di titoli come "padre", "maestro", "pastore" e abbiamo usato titoli onorifici che non vanno bene per un servitore. Ma è più triste ancora vedere come abbiamo "governato" con delle leggi come fanno i governanti del mondo, abbiamo fatto della nostra Chiesa una piramide (tutto va da sopra a sotto) e i fedeli ascoltano e ubbidiscono. Così è difficile parlare di fraternità e soprattutto di fraternità con i poveri.
                                                                          don Angelo